Itinerari

Il colore nel centro storico

Il colore nel centro storico

Il colore nel centro storico

Un viaggio nel colore tra palazzi e opere d’arte

Fin dai tempi antichi, la nostra civiltà ha sviluppato tecniche di tintura sfruttando la grande varietà delle specie erbacee presenti sul territorio europeo. La reseda creava il giallo, la robbia il rosso e il guado il blu: erano queste le piante da cui si estraevano i colori primari utilizzati nella tintura dei tessuti fino al XIX secolo. Esisteva tuttavia una moltitudine di altre essenze officinali utilizzate a fini tintori, come ad esempio lo scotano, lo zafferano, la ginestra, il cartamo, l’ortica.

I colori organici naturali, ricavati in origine da piante, fiori e secrezioni animali, sono stati impiegati per la prima volta nel basso Neolitico con la scoperta della filatura e della tessitura. Queste sostanze naturali sono in grado di far penetrare il pigmento nelle fibre senza rilasciarlo al lavaggio e senza farlo sbiadire nel tempo. Questi mezzi e queste tecniche sono stati utilizzati fino alla fine del XIX secolo, momento in cui sono stati sostituiti da quelli sintetici di origine petrolchimica.

Presso Palazzo dei Priori sono esposti gli “Arazzi fiamminghi di Fermo”. Il più importante è certamente quello che raffigura l’Annunciazione, realizzato intorno alla fine del XV secolo e ispirato ad un disegno del pittore fiammingo Giusto de Gand. Il grande pregio di questo manufatto non si riscontra solo nel raffinato aspetto figurativo, ma anche nella tecnica d’esecuzione utilizzata. Sono presenti, infatti, fili di trama laminati, oltre ad un tentativo, brillantemente risolto, di creare sfumature attraverso “cunei cromatici” realizzati scanalando matematicamente il numero delle trame, con la conseguenza che un colore lascia il posto all’altro quasi sfumando. I colori utilizzati sono interamente vegetali ed il blu è dato dal guado, il rosso dalla robbia.

Gli erbari erano strumenti indispensabili per la conoscenza delle piante officinali e il Codice erbario di Fermo, custodito nel fondo antico della Biblioteca Romolo Spezioli, è stato digitalizzato. È infatti consultabile dal pubblico tramite i tre touch-screen posizionati lungo il percorso turistico della città. Al loro interno si possono vedere circa venti tavole dalle vivaci raffigurazioni: per ogni esemplare è presente il nome accompagnato in calce da una nota sulle proprietà terapeutiche. Queste sono descritte con linguaggio che si posiziona tra la scienza e il mito. Di notevole interesse è la nota manoscritta – datata 8 gennaio 1558 – che attesta l’appartenenza dell’erbario a Gherardo Cibo, noto erborista ed illustratore di piante, nato a Genova e vissuto lungamente nelle Marche in Rocca Contrada, oggi Arcevia.

Il Museo Diocesano è ubicato a fianco della Cattedrale di Fermo che si erge sulla sommità del colle Girfalco, uno dei luoghi più panoramici della città con sguardi sul Mare Adriatico ed i Monti Sibillini. All’interno nelle Sale dei Paramenti sacri si possono ammirare le colorazioni delle vesti ed in particolare la visita è riservata alla Casula di San Tommaso Becket, frutto dell’arte tessile di origine araba datata 1116, donata alla Chiesa dal vescovo fermano Presbitero, il quale l’aveva avuta in dono da San Tommaso quando erano compagni di studi a Bologna. Tutti i colori delle collezioni tessili esposte sono stati realizzati con pigmenti naturali, quindi da piante tintorie e da secrezioni animali. Nel percorso espositivo, possiamo inoltre ammirare il Messale De Firmonibus miniato nel 1436 da Ugolino da Milano con tempere minerali e lacche vegetali.

Nel quartiere di Campoleggio si possono trovare tracce del patrimonio artistico romano, medioevale e rinascimentale. Tra queste spicca l’Oratorio di Santa Monica edificato intorno al 1425. Al suo interno sono visibili degli affreschi di stile gotico-internazionale a tema religioso. Le pitture murarie inizialmente sono state attribuite ai fratelli Salimbeni, ma non si è riuscito ad accertarne la paternità. Nelle numerose scene dipinte un’attenzione particolare va al “Banchetto di Erode”: i personaggi vestiti in maniera elegante rappresentano un’interessante testimonianza dell’uso dei colori vegetali nel vestiario dell’epoca. Nell’Oratorio è anche interessante la rappresentazione iconografica di San Biagio, protettore dei cardatori di lana, che reca in mano lo strumento del suo martirio.