Museo Civico Archeologico di Fermo

Gli scavi non autorizzati al teatro romano di Falerio Picenus – Sala 4

Si moltiplicarono, soprattutto nel Maceratese e nell’Ascolano, le campagne di scavo intraprese ad
opera dei privati. Le operazioni proseguirono ininterrottamente sino al XIX secolo, nonostante il radicale mutamento operato nel 1820 dal cardinale Bartolomeo Pacca che sancì, con uno specifico editto, una completa e definitiva dipendenza dalle autorizzazioni cardinalizie di tutti i lavori di scavo e pose la prima fondamentale pietra verso una maggiore consapevolezza nei confronti della tutela che può considerarsi un sostanziale preludio dell’attuale legislazione sui beni culturali.
Gli scavi privati, che ai nostri occhi contemporanei appaiono inconcepibili, furono nei secoli XVIII e XIX piuttosto in voga e servirono principalmente per arricchire le collezioni private di antichità all’interno delle quali confluirono gran parte degli oggetti ritrovati attraverso attività di sterro condotto in assenza di metodologia scientifica.
Fra le raccolte private più note sorte fra la fine del XVIII e la prima metà del XIX secolo nelle attuali province marchigiane da cui ebbero origine i nuclei fondanti gli attuali musei marchigiani si annoverano quella dei fratelli Gaetano e Raffaele De Minicis e di Giovan Battista Carducci a Fermo, nell’ascolano quella di Giulio Gabrielli, nel maceratese quelle di Alessandro Bandini a Camerino, di Nicola Luzi a Treja, di Umberto Piersanti a Matelica e di Severino Servanzi Collio a San Severino, mentre nelle attuali provincie di Pesaro e Ancona le più ricche furono senza dubbio quella del pesarese Annibale degli Abbati Olivieri Giordani e quella di Camillo Raccamadoro Ramelli a Fabriano.
Ricche biblioteche, ben fornite di pubblicazioni utili nello studio dei reperti raccolti,accompagnarono quasi sempre tutte le collezioni, a testimonianza del carattere essenzialmente erudito dei personaggi che le raccolsero.